Crisi della Magistratura: l’analisi e le proposte dei penalisti italiani.

Riforma Costituzionale dell’Ordinamento Giudiziario e della obbligatorietà dell’azione penale: ma -da subito- basta con i Magistrati “Fuori Ruolo”, prassi violativa del principio di separazione dei poteri ed origine di tutte le inconfessabili commistioni tra Politica e Magistratura. Il secondo documento della Giunta UCPI sullo “scandalo” CSM.

1. Potere politico delle correnti della Magistratura, improprie modalità del loro rapporto con le forze politiche, logiche spartitorie che influenzano le nomine dei Capi degli Uffici Giudiziari, in particolare delle Procure della Repubblica: sono fenomeni da sempre denunciati dall’Unione delle Camere Penali Italiane ed oggi divenuti al centro di considerazioni e di iniziative politiche nel peggiore dei modi. I perversi meccanismi della comunicazione mediatica, resa in violazione del segreto istruttorio, che ricostruiscono il contenuto di intercettazioni realizzate attraverso il captatore Trojan, stanno trasformando un delicato tema di politica giudiziaria in una devastante saga destinata ad arricchirsi ogni giorno di una nuova indiscrezione o di una nuova dichiarazione e che oramai lambisce e non rispetta (o non risparmia) le più alte cariche dello Stato. Nelle prossime ore conosceremo la posizione della ANM che, al momento occupata nella ricerca di nuove regole per la rappresentanza, pare in netta prevalenza trincerarsi nella difesa corporativa di prerogative che si sono rivelate non in grado di assicurare autonomia e indipendenza della Magistratura, della quale è invece necessario un profondo rinnovamento.  2. Ciò che sta accadendo in questi giorni è sì uno scandalo, ma in senso evangelico, nel senso che sono salvificamente venute alla luce verità sempre negate ma in realtà da sempre praticate perché connaturate all’attuale assetto del sistema ordinamentale della magistratura. Si scopre così che il principio, sacro innanzitutto per noi penalisti, della indipendenza del Pubblico Ministero dal potere politico, ossessivamente denunziato come messo in pericolo dalla nostra proposta di separazione delle carriere, è invece strutturalmente violato proprio in questo assetto ordinamentale connotato da carriere unite e finta obbligatorietà dell’azione penale. Le Procure della Repubblica, grazie all’alibi di una obbligatorietà dell’azione penale invece arbitrariamente discrezionale, esercitano un potere politico che non ha eguali e che soprattutto non ha contrappesi, determinando così uno squilibrio che nessun sistema democratico può sostenere senza implodere. Perciò la Magistratura deve necessariamente scendere a patti segreti o anche solo impliciti con la Politica, muovendo da equilibri correntizi grossomodo speculari agli assetti parlamentari.3. Come si può d’altro canto seriamente invocare la indipendenza del potere giudiziario dal potere politico, se si pratica costantemente, in modo strutturale e con raffinati dosaggi correntizi, la commistione tra potere giudiziario e potere esecutivo mediante il massiccio distacco di magistrati messi fuori ruolo in tutti gli snodi cruciali di tutti i Ministeri nei quali si articola il Governo del Paese di volta in volta scelto dal corpo elettorale? Sono decenni che l’Unione delle Camere Penali denunzia senza tregua come questa dei magistrati fuori ruolo sia una pratica malsana, perché manifestamente incompatibile con il principio fondamentale di ogni democrazia politica, cioè quello della separazione dei poteri. È insomma impossibile non interrogarsi sulla evidente contraddizione tra la tonitruante invocazione della indipendenza della magistratura dal potere politico, e la costante invasione di gangli vitali dell’esecutivo, a partire proprio dal Ministero di Giustizia. Forse ora si vorrà finalmente rispondere alle nostre ripetute, pubbliche denunzie, interrogandosi almeno su quali siano i criteri con i quali un Governo politicamente sostenuto da una precisa maggioranza politica possa concordare con la Magistratura  la selezione del manipolo di oltre duecento togati, accuratamente ripartiti tra le varie correnti, destinati a costituire l’ossatura amministrativa della gran parte dei Ministeri; e per conseguenza interrogarsi su quale possa essere l’inesorabile prezzo che la Magistratura deve necessariamente pagare a quel Governo. Se la Magistratura italiana intende restituire credibilità alla propria, orgogliosa petizione di indipendenza dalla Politica, compia questo primo, rivoluzionante passo, richiamando nei ruoli tutti i magistrati distaccati presso il Governo e le sue articolazioni amministrative.4. Di nuovo ribadiamo l’invito alla magistratura italiana perché sappia uscire da questo gorgo melmoso fatto di conversazioni masticate e risputate ad arte da un Trojan bulimico ed ormai ingovernabile ed inintelligibile; di elenchi di magistrati buoni e di magistrati cattivi (nello stilare i quali ci permettiamo di suggerire una sana prudenza); di stentorei ed un po’ disperati inviti ad implausibili espiazioni morali e ad altrettanto inverosimili autoriforme. Innalziamo insieme il livello della riflessione e del confronto su idee e proposte, anche le più diverse, volte ad una radicale riforma dell’ordinamento giudiziario, senza preventive abiure o scomuniche. I penalisti italiani credono più di ogni altro nella indipendenza del Pubblico Ministero dalla Politica, e trent’anni di idee, riflessioni e pubbliche proposte stanno lì a dimostrarlo: è la Magistratura italiana a trovarsi oggi nella condizione di dover dimostrare, oltre la retorica ed i vuoti proclami, di credervi per davvero.