Delibera Giunta UCPI – Astensione 9 luglio 2019

Cari associati,
Vi segnaliamo la delibera della Giunta dell’Unione delle Camere Penali che proclama l’astensione dalle udienze per il giorno 9 luglio 2019.

Un caro saluto per il direttivo,

il segretario Serena Caputo

Crisi della Magistratura: l’analisi e le proposte dei penalisti italiani.

Riforma Costituzionale dell’Ordinamento Giudiziario e della obbligatorietà dell’azione penale: ma -da subito- basta con i Magistrati “Fuori Ruolo”, prassi violativa del principio di separazione dei poteri ed origine di tutte le inconfessabili commistioni tra Politica e Magistratura. Il secondo documento della Giunta UCPI sullo “scandalo” CSM.

1. Potere politico delle correnti della Magistratura, improprie modalità del loro rapporto con le forze politiche, logiche spartitorie che influenzano le nomine dei Capi degli Uffici Giudiziari, in particolare delle Procure della Repubblica: sono fenomeni da sempre denunciati dall’Unione delle Camere Penali Italiane ed oggi divenuti al centro di considerazioni e di iniziative politiche nel peggiore dei modi. I perversi meccanismi della comunicazione mediatica, resa in violazione del segreto istruttorio, che ricostruiscono il contenuto di intercettazioni realizzate attraverso il captatore Trojan, stanno trasformando un delicato tema di politica giudiziaria in una devastante saga destinata ad arricchirsi ogni giorno di una nuova indiscrezione o di una nuova dichiarazione e che oramai lambisce e non rispetta (o non risparmia) le più alte cariche dello Stato. Nelle prossime ore conosceremo la posizione della ANM che, al momento occupata nella ricerca di nuove regole per la rappresentanza, pare in netta prevalenza trincerarsi nella difesa corporativa di prerogative che si sono rivelate non in grado di assicurare autonomia e indipendenza della Magistratura, della quale è invece necessario un profondo rinnovamento.  2. Ciò che sta accadendo in questi giorni è sì uno scandalo, ma in senso evangelico, nel senso che sono salvificamente venute alla luce verità sempre negate ma in realtà da sempre praticate perché connaturate all’attuale assetto del sistema ordinamentale della magistratura. Si scopre così che il principio, sacro innanzitutto per noi penalisti, della indipendenza del Pubblico Ministero dal potere politico, ossessivamente denunziato come messo in pericolo dalla nostra proposta di separazione delle carriere, è invece strutturalmente violato proprio in questo assetto ordinamentale connotato da carriere unite e finta obbligatorietà dell’azione penale. Le Procure della Repubblica, grazie all’alibi di una obbligatorietà dell’azione penale invece arbitrariamente discrezionale, esercitano un potere politico che non ha eguali e che soprattutto non ha contrappesi, determinando così uno squilibrio che nessun sistema democratico può sostenere senza implodere. Perciò la Magistratura deve necessariamente scendere a patti segreti o anche solo impliciti con la Politica, muovendo da equilibri correntizi grossomodo speculari agli assetti parlamentari.3. Come si può d’altro canto seriamente invocare la indipendenza del potere giudiziario dal potere politico, se si pratica costantemente, in modo strutturale e con raffinati dosaggi correntizi, la commistione tra potere giudiziario e potere esecutivo mediante il massiccio distacco di magistrati messi fuori ruolo in tutti gli snodi cruciali di tutti i Ministeri nei quali si articola il Governo del Paese di volta in volta scelto dal corpo elettorale? Sono decenni che l’Unione delle Camere Penali denunzia senza tregua come questa dei magistrati fuori ruolo sia una pratica malsana, perché manifestamente incompatibile con il principio fondamentale di ogni democrazia politica, cioè quello della separazione dei poteri. È insomma impossibile non interrogarsi sulla evidente contraddizione tra la tonitruante invocazione della indipendenza della magistratura dal potere politico, e la costante invasione di gangli vitali dell’esecutivo, a partire proprio dal Ministero di Giustizia. Forse ora si vorrà finalmente rispondere alle nostre ripetute, pubbliche denunzie, interrogandosi almeno su quali siano i criteri con i quali un Governo politicamente sostenuto da una precisa maggioranza politica possa concordare con la Magistratura  la selezione del manipolo di oltre duecento togati, accuratamente ripartiti tra le varie correnti, destinati a costituire l’ossatura amministrativa della gran parte dei Ministeri; e per conseguenza interrogarsi su quale possa essere l’inesorabile prezzo che la Magistratura deve necessariamente pagare a quel Governo. Se la Magistratura italiana intende restituire credibilità alla propria, orgogliosa petizione di indipendenza dalla Politica, compia questo primo, rivoluzionante passo, richiamando nei ruoli tutti i magistrati distaccati presso il Governo e le sue articolazioni amministrative.4. Di nuovo ribadiamo l’invito alla magistratura italiana perché sappia uscire da questo gorgo melmoso fatto di conversazioni masticate e risputate ad arte da un Trojan bulimico ed ormai ingovernabile ed inintelligibile; di elenchi di magistrati buoni e di magistrati cattivi (nello stilare i quali ci permettiamo di suggerire una sana prudenza); di stentorei ed un po’ disperati inviti ad implausibili espiazioni morali e ad altrettanto inverosimili autoriforme. Innalziamo insieme il livello della riflessione e del confronto su idee e proposte, anche le più diverse, volte ad una radicale riforma dell’ordinamento giudiziario, senza preventive abiure o scomuniche. I penalisti italiani credono più di ogni altro nella indipendenza del Pubblico Ministero dalla Politica, e trent’anni di idee, riflessioni e pubbliche proposte stanno lì a dimostrarlo: è la Magistratura italiana a trovarsi oggi nella condizione di dover dimostrare, oltre la retorica ed i vuoti proclami, di credervi per davvero.

CSM e nomine ai vertici delle procure: la scoperta dell’acqua calda

Basta ipocrisie, è l’ordinamento giudiziario che va cambiato: separazione delle carriere e del CSM, riforma dell’obbligatorietà dell’azione penale. Nell’idea di processo dei penalisti mai posto per veline di polizia e linciaggi preventivi. La posizione della Giunta dell’Unione Camere Penali Italiane.

La diffusione indebita e sapiente di brandelli di notizie relative ad indagini giudiziarie in vario modo collegate alla imminente nomina dei vertici di alcune importanti Procure italiane, sta mandando in scena un avvilente spaccato della Magistratura italiana e dei suoi meccanismi di governo, ma anche un formidabile festival della ipocrisia nazionale.

Come è ovvio, i penalisti italiani non intendono partecipare al morboso dibattito su presunte responsabilità penali date in pasto al pubblico senza ritegno da regie occulte, che andrebbero esse per prime individuate e perseguite. Nella nostra idea del processo penale, non c’è posto per veline di polizia, intercettazioni telefoniche sbocconcellate fornite sottobanco ad una stampa famelica, e linciaggi preventivi. L’unica cosa positiva di questo spettacolo indecoroso è che esso aiuterà almeno a facilitare la comprensione di quale autentica devastazione può comportare, nella vita di una persona, anche solo una informazione di garanzia irresponsabilmente resa pubblica.

Ma è la cifra dell’ipocrisia quella che vogliamo denunziare in questa vicenda, grazie alla quale staremmo dunque scoprendo l’acqua calda, e cioè che le dinamiche sottese alla nomina dei vertici degli uffici giudiziari sono tutte interne a logiche correntizie e perciò stesso schiettamente politiche.

Ci si dovrebbe piuttosto interrogare sulla ragione per la quale queste guerre senza quartiere, che possono giungere perfino -come in questo caso- all’uso della indagine penale per determinarne gli esiti, riguardino sempre e solo gli assetti degli Uffici di Procura, ed assai meno quelli degli uffici giudicanti.

Si scoprirebbe allora che la ragione è la stessa per la quale i vertici della rappresentanza politica della Magistratura appartengono da decenni (con l’autentica eccezione del nuovo Presidente da poco eletto) a magistrati del Pubblico Ministero, pur rappresentando costoro poco meno del 20% della platea dei magistrati italiani.

È la titolarità dell’azione penale il cuore pulsante del potere giudiziario, quella azione penale che la nostra Costituzione si ostina a pretendere obbligatoria, ma che è da sempre talmente discrezionale da consentire di distinguere addirittura, e con quale drammatica virulenza, nientedimeno che una continuità “pignatoniana” dalla sua discontinuità.

Ora sarà più facile capire perché la magistratura italiana reagisce compatta e con tanta veemenza alla idea di separare le carriere e di affidare -come pure vuole quella legge di iniziativa popolare da noi propugnata- al Parlamento sovrano (che ne risponderà al corpo elettorale al più tardi cinque anni dopo) la individuazione dei criteri di priorità dell’esercizio dell’azione penale.

La ragione sta non nella difesa dell’autonomia e della indipendenza della Magistratura, che nessuno intende mettere in discussione, ma nella difesa della esclusività di un potere immenso e tutto politico che appunto risiede nella titolarità dell’azione penale, e che si vuole assoluto, incontrollato e tecnicamente irresponsabile.

Quando gli equilibri correntizi, dunque politici, funzionano, tutto sembra procedere per il meglio; quando quegli equilibri saltano, come oggi sta succedendo in modo clamoroso e catastrofico, si scopre l’esistenza di un’azione penale “pignatoniana” e una no, di un’azione penale a trazione fiorentina ed una a trazione palermitana, una azione penale perugina di un segno ed un’azione perugina di segno opposto. E che quelle differenze sono a tal punto decisive da meritare l’esplosione di velenose inchieste giudiziarie incrociate e di agende fitte di incontri con politici e parlamentari (e poi saremmo noi penalisti ad attentare alla indipendenza della magistratura dalla politica!).

Non ci appassiona sapere come andrà a finire questa storia, perché essa è già chiarissima, per chi la vuole capire.

Occorre una radicale riscrittura dell’ordinamento giudiziario che, ferma e sacra la autonomia e la indipendenza della magistratura, separi inquirenti da giudicanti anche negli organi di governo della magistratura, rafforzando in essi in modo paritario la percentuale dei membri laici, e affidando al Parlamento, cioè ad un organo politicamente responsabile e rieleggibile, criteri e priorità dell’esercizio dell’azione penale. Questa proposta di riforma costituzionale è già in discussione in Commissione Affari Costituzionali, voluta dalle Camere Penali Italiane e sottoscritta da 72mila cittadini: forse ora sarà più semplice comprenderne l’importanza e la necessità.

Roma, 3 giugno 2019

La Giunta U.C.P.I.